Tanti sono stati gli impegni di questi ultimi mesi, in campagna a potare pulire sistemare, monitorare lo stato fitosanitario invernale delle piante. Gli incontri con colleghi italiani e stranieri, la ricerca continua di informazioni tecniche utili, le attività di formazione come docente… e le ore davanti ad una tastiera davvero poche e spesso frenetiche. Riporto un articolo che è stato pubblicato da Teatro Naturale:
“Ho accettato volentieri l’invito di AIRO alle cantine Antinori per la presentazione del Magnifico 2017, ho dismesso per qualche ora gli abiti di campo e non avendo mandato campioni mi sono goduto una serata intensa con l’occasione di rivedere tanti amici del mondo dell’olio, una serata lunga e piena di interventi interessanti, alcuni emozionanti, altri con ottimi spunti di riflessione.
Condivido quanto detto da Marco Scanu Direttore Generale di Dievole alla presentazione del Magnifico 2017: abbiamo bisogno di volumi consistenti di produzione non solo di mini produzioni da concorso che non hanno seguito sul mercato: quello che viene premiato è giusto che sia un quantitativo commercialmente interessante altrimenti sarebbe l’ennesima occasione per cantarcele tra addetti ai lavori.
Fatta questa premessa mi sembra dovuto fare qualche approfondimento perchè il quantitativo non può essere un obiettivo che va perseguito ad ogni costo, bensì deve essere il frutto del nostro lavoro in campagna. E’ fondamentale che il nostro lavoro (di ogni olivicoltore della penisola) sia rivolto alla valorizzazione delle proprie varietà locali e alla tutela del paesaggio, come diceva l’amico Nico Sartori.
Qualcosa però non mi torna e sorge spontanea una domanda: se sono le grandi aziende talvolta con oltre 30.000 piante a piegarsi al pensiero che il consumatore vuole quel tipo di olio perchè un po’ più ruffiano con una varietà non coltivabile nel Chianti Classico, mi spiegate chi può tra le piccole aziende far passare un messaggio concreto, sincero, autentico? …”
Purtroppo già dall’esperienza del vino sappiamo che inseguire le varietà “più ruffiane al gusto”, le mode, le tendenze è autodistruttivo a livello di produzione, è massificazione, rappresenta la più subdola forma di erosione della biodiversità; che non perderà l’occasione di ricordarci, all’avvento della moda successiva, che abbiamo perso un’occasione di dire la nostra oltre ad aver investito ingenti capitali in qualcosa che non funziona più …
Ma ho trovato anche una risposta … nella convinzione che la strada della produzione di Evoo nazionale e regionale debba passare dalla valorizzazione delle varietà locali; grande merito va a piccole realtà come quella del collega Giacomo Grassi che su questo hanno investito coraggiosamente. Lo sforzo naturalmente non è solo tecnico ma anche commerciale e comunicativo per far capire e conoscere prodotti autentici a molti consumatori, ristoratori, distributori. Abbiamo esempi come quello del dottor Titone (premiato con il Magnifico alla carriera) che ci possono portare avanti, con idee nuove, con stimoli nuovi, ma con la consapevolezza di coltivare una pianta millenaria.
La tutela della biodiversità; il recupero degli oliveti abbandonati; le corrette diciture in etichetta; la ricerca sulla fisiologia della pianta per perseguire il suo stato di salute complessivo da cui parte una costanza di produzione e di qualità; una burocrazia che tuteli il consumatore, e i produttori ma che ci permetta di lavorare. In questi ultimi anni abbiamo sentito molte voci di ciò che sarebbe utile al mondo dell’olivo, tante idee valide ma alla fine ciò che più manca al nostro settore è una regia, è un coordinamento che non faccia sperperare le risorse in mille rivoli e, che ancor più, non faccia cambiare rotta ad ogni colpo di vento anche leggero. Un coordinamento che sia in grado di dare una cronologia degli interventi con una logica di successione nel contesto produttivo, ad esempio partire dall’aumento di produzione e dal reimpianto degli oliveti quando non si riesce a vendere esporrebbe l’imprenditore ad un probabile suicidio finanziario.
Da popolo con scarsa autostima dobbiamo anche capire che l’olio Siciliano, Pugliese o Toscano, solo per fare alcuni esempi, lo possiamo fare solo noi, e nel mondo sono nomi che suonano bene, sono copiati perchè fanno vendere. In questo i consorzi di tutela possono e devono avere un impegno maggiore andando oltre le diatribe tra più grossi e più piccoli: perchè incrementare la qualità è tecnicamente possibile oltre che indispensabile. Se riuscissimo a migliorare la qualità del nostro Evoo certificato di un 15/20% (obiettivo raggiungibile spesso con costi bassi o nulli) saremmo riusciti a fare un gran bene a tutto il mondo produttivo, permettendo al nostro prodotto di avere un vero carattere distintivo.
Sono convinto che l’olio extravergine Italiano possa vincere se lavoriamo uniti, ognuno nel suo campo … di olivi, … della ricerca, … dei consorzi di tutela, … della comunicazione, … della commercializzazione, ma con un obiettivo che sia collettivo: lo sviluppo del nostro mondo meraviglioso che è l’oliveto Italia.
Pubblicato su Teatro naturale il 24 marzo 2017 leggi l’articolo orginale